Da piccola, odiavo le bambole, ma desideravo arco e frecce. Il sogno? Un cavallo di legno, ma quell'anno ebbi una bellissima culla, tulle e pizzo, con due piccoli bambolotti gemelli. Volevo vestirmi da cow boy per il carnevale, ma ero destinata a essere la classica fatina
Non sapevo e non so ricamare, cucire, lavorare a maglia, ma la domenica indossavo i guantini bianchi, il cappellino di paglia di Firenze, l'abito con la sottogonna, magari i capelli con chignon decorato con i fiorellini.
La quintessenza della femminilità anni 60, in casa e cooptata per le mille recite per questo mio apparire.
Mi salvavano i libri e le avventure che mi facevano vivere
Sfuggita al rigore materno i miei capelli divennero cortissimi. I jeans presero il posto degli abitini, un tascapane militare e una sacca etnica di corda e non  le piccole borsettine
Ero sempre io, comunque mi addobbassi, con i miei malumori, i miei innamoramenti, le lune storte, la felicità improvvisa e il pianto a seguire, con tutto il mio prorompente essere donna
Perché questo scritto? Perché mi commuovo e arrabbio per quel bambino, figlio di sportivo, che, per il suo compleanno, ha voluto indossare una coroncina e vestirsi diversamente da come il mondo ipocrita, vorrebbe. Vorrei abbracciarlo e dirgli che va bene così, che è lui quello forte, che è fortunato, davvero, conni suoi fantastici genitori. 
Gli altri che scherniscono, con insulti on line, solo poveri di ogni tutto. In ogni dove

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